martedì 20 settembre 2011

Trovate uno scopo, associatevi intorno ad esso e ponete le basi affinchè deleghiamo noi stessi a disegnare il presente ed il futuro delle nostre vite.

L’associazionismo nella tradizione liberal-democratica

Nella Democrazia in America Tocqueville, andato alla ricerca delle origini e delle motivazioni profonde di una società democratica che in Europa stava faticosamente e minacciosamente emergendo, ci ha lasciato un immagine dello spirito societario della società americana che il tempo non è ancora riuscito a rendere sfocata, e, ancorché contestata oppure rimpianta, è diventata la fonte d’ispirazione di ogni forma di pluralismo democratico: “L’America - egli scrive – è il solo paese al mondo in cui si è tratto il maggior partito dell’associazione, e dove si è applicato questo potente mezzo di azione a una maggior varietà di situazioni”. E subito dopo precisa: “Indipendentemente dalle associazioni permanenti, create dalla legge sotto il nome di comuni, città e contee, c’è ne una moltitudine di altre, che devono il loro sorgere ed il loro sviluppo solo a volontà individuali”. Altrove: “ Le associazioni politiche che esistono negli Stati Uniti non costituiscono che un particolare nell’immenso panorama delle associazioni. Gli americani di tutte le età, condizioni e tendenze, si associano di continuo. Non soltanto possiedono associazioni commerciali ed industriali, di cui tutti ne fanno parte, ne hanno anche di mille altre specie: religiose, morali, gravi, futili, generali e specifiche, vastissime e ristrette. Gli americani si associano per dare feste, fondare seminari, costruire alberghi, innalzare chiese, diffondere libri, inviare missionari agli antipodi; creano in questo modo ospedali, prigioni, scuole. Dappertutto,ove alla testa di una nuova iniziativa vedete, in Francia, il governo, e in Inghilterra un gran signore, state sicuri di vedere negli Stati Uniti un’associazione”. Vera o falsa che fosse questa descrizione (Tocqueville aveva il talento della forzatura che fa emergere con maggiore evidenza i contrasti), essa non è tanto importante per se stessa quanto perché servì a Tocqueville per cogliere il nesso profondo tra associazionismo e democrazia. E gli bastarono poche righe per rappresentarcelo in una forma definitiva: “L’abitante degli Stati Uniti impara fin dalla nascita che bisogna contare su se stessi, per lottare contro i mali e gli ostacoli della vita; egli non getta sull’autorità sociale che uno sguardo diffidente e inquieto, e ricorre al suo potere solo quando non può farne a meno”. Qualche esempio: “ Un ostacolo si forma sulla pubblica via, il passaggio è interrotto, la circolazione bloccata: i vicini si costituiscono subito in corpo deliberante; da questa assemblea improvvisata uscirà subito un potere esecutivo che rimedierà al male, prima che l’idea di una autorità preesistente a quella degli interessati si presenti all’immaginazione di alcuno”. Ancora meglio risalta il rapporto fra democrazia e spirito associativo nel confronto fra regime democratico ed aristocratico: “Nelle società aristocratiche, gli uomini non hanno bisogno di unirsi per agire, perché sono gia saldamente tenuti insieme. Ogni cittadino ricco e potente è come alla testa di una associazione permanete e forzosa, che si compone di tutti coloro che dipendono da lui e che egli fa concorrere all’esecuzione dei suoi disegni. Nelle democrazie, invece, tutti i cittadini sono indipendenti e inefficienti, non possono quasi nulla da soli e nessuno obbligare i propri simili a dargli la propria cooperazione. Se non imparano ad aiutarsi liberamente, cadono quindi tutti nell’impotenza”. Non ho bisogno di dire quanto questo libro straordinario abbia contribuito a fare del pluralismo l’ideologia americana per eccellenza: ideologia che permane sostanzialmente immutata nonostante le critiche talora spietate ad essa rivolte fra osservatori interni ed esterni. Basti considerare che il contrario del pluralismo è il totalitarismo, anch’esso una categoria che, nonostante qualche flessione, è tutt’ora largamente adoperata non solo nella pubblicista ma anche nella teoria e nella scienza politica. Con espressione più dotta, e ideologicamente meno compromessa, alcuni scienziati politici contemporanei, fra più noti e meno discussi, parlano di “autonomia dei sottosistemi”. La maggiore o minore autonomia dei sottosistemi serve a differenziare i regimi democratici da quelli autoritari e totalitari.

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