venerdì 23 settembre 2011

Incapaci di uccidere il padre

Di "guerra", di sano conflitto, qui, non c'è traccia. Incapaci di trascendere, almeno un poco e magari con ironia, la sfera angusta della sussistenza materiale, non stimolati a cambiare, la generazione dei settanta e dei primi anni ottanta si lascia vivere insediata nei bui e claustrofobici anfratti del sistema, resi meno spaventevoli da consolle, tv e computer che non necessitano di luce solare.
Ma la storia insegna che, nonostante gli ostacoli, ogni generazione ha non solo il diritto ma anche il dovere di trovare la propria strada; anzi, quello di doversi guadagnare il proprio spazio di crescita, e se ciò le viene precluso, di forzare il cambiamento, è un destino inevitabile.
Nell'accezione latina il termine giovane contiene in se anche il senso di mutamento e del rinnovamento. Ciò che è giovane non è statico, non è rigido, non è spento. L a gioventù ha il fuoco dentro: brucia o viene bruciata. Del resto, se i giovani avessero sempre accettato incondizionatamente il mondo dei genitori vivremmo ancora nelle grotte. E' soprattutto sugli errori e i successi temerari dei figli, nonostante, i calorosi avvertimenti ed i saggi consigli dei padri, che si è costruita l'avventurosa e mirabolante storia dell'umanità.
I trentenni di oggi, ancor più quelli italiani, sono poco giovani perché non in grado di essere utili adeguatamente alla collettività, dipendendo a lungo dai propri genitori. Sono po giovani perché purtroppo passivi e remissivi, mano capaci di diventare protagonisti del cambiamento e del rinnovamento sociale. Ma se i trentenni italiani non sono giovani che cosa sono? Più bambini rispetto ai coetanei del mondo sviluppato, perché meno risorsa per il loro paese. Più vecchi dei propri genitori perché più lenti, più cauti, meno reattivi  e propositivi. Eterni figli perché non in grado di uccidere metaforicamente il padre.

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